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Fev16

L'EFFETTO SERRA


Peter

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 Querce e betulle: ecco gli alberi che abbatteranno l'effetto serra

Lo studio. Dall'800 a oggi piantate in Europa più conifere che latifoglie:

una scelta, rivela una ricerca, che ha aggravato il riscaldamento globale

 di ANNA LOMBARDI

 Per fare un albero ci vuole un fiore. Ma se il fiore non è quello giusto e negli ultimi 200 anni abbiamo piantato gli alberi sbagliati? Sì, sbagliati: perché a causa del colore delle loro foglie, accumulano più calore e rilasciano più anidride carbonica: contribuendo al surriscaldamento globale, anziché diminuirlo. Lo sostiene una ricerca appena pubblicata su Science realizzata da un team di studiosi internazionali guidati da Kim Naudts del Laboratorio di Scienze su Clima e Ambiente di Gif-sur-Yvette, in Francia. Studio che analizza com'è stato sfruttato il terreno in Europa negli ultimi 260 anni - a partire cioè dalla rivoluzione industriale e dallo sfruttamento intensivo del legname - fino a sviluppare un modello in grado di calcolare la quantità di carbone, energia e acqua intrappolata o rilasciata dalle foreste.

I risultati sono sorprendenti. Soprattutto perché, in una certa misura, mettono in crisi il concetto dato per assodato, che le foreste mitigano sempre gli effetti del riscaldamento globale. "Le cose", scrivono gli studiosi nella prefazione della ricerca, "sono più complesse. I risultati positivi si ottengono solo a patto di piantare gli alberi giusti e gestire poi in maniera corretta". Lo studio parte da un confronto: fra il 1750 e il 1850 la deforestazione legata alla rivoluzione industriale ha portato alla perdita di 190mila metri quadri di superficie boschiva europea: un'area, per intenderci, più grande della Grecia. Ma nei 160 anni successivi, la tendenza si è invertita. E fra il 1850 e il 2010 si è addirittura riforestato più territorio di quello distrutto: ripiantando 386mila chilometri quadrati di alberi, un territorio grande quanto la Germania. Peccato che le scelte fatte all'epoca, oggi si rivelino sbagliate. Perché alle autoctone latifoglie (querce, roveri, betulle) si sostituirono conifere (pini scozzesi, abeti rossi e faggi). "Una scelta per l'epoca comprensibile", dice Giuseppe Barbera, professore di Colture Arboree all'Università di Palermo, autore del saggio Abbracciare gli alberi. "Le conifere crescono rapidamente anche su suoli molto sfruttati. E poi hanno un buon valore commerciale. Era però implicito che dopo aver piantato le conifere andava fatto un "latifondamento": inserendo, cioè, piante autoctone. E questo si è fatto poco".

Ma perché quelle scelte influiscono sul surriscaldamento globale? "Preferire le conifere", ha commentato la dottoressa Naudts alla Bbc , "ha avuto un impatto significativo sull'albedo, ossia su quel processo che permette alle radiazioni solari di riflettersi anziché restare intrappolate al suolo". E qui entra in gioco il colore del legno e delle foglie: "Le vecchie latifoglie avevano colori più chiari", spiega Paolo Trost, professore di Fisiologia vegetale all'Alma Mater di Bologna. "Erano dunque ecologicamente più efficienti delle scure conifere". Che in pratica assorbono più calore, emettono meno vapore acqueo e contribuiscono così ad alterare le escursioni di temperatura fra giorno e notte. Per questo, concludono gli autori della ricerca, anche se la superfice dei boschi è aumentata, la scelta di piantare conifere ha contribuito al surriscaldamento globale, piuttosto che mitigarne gli effetti, dello 0,12 celsius. Pari cioè al 6% dell'incremento dovuto ai combustibili fossili. Questo perché dal 1850 a oggi si è accumulato un debito di carbonio, cioè uno sbilanciamento tra emissioni e assorbimento di CO 2 , pari a 3,1 milioni di tonnellate che ha determinato lo squilibrio energetico che ha incrementato le temperature. "Sono risultati

da tenere in considerazione in vista di future politiche di riforestazione", conclude Trost. "La conservazione delle foreste resta un obiettivo primario, ma la loro gestione va affrontata basandosi sulle nuove conoscenze". Imparando, cioè, a scegliere il fiore giusto. ( Repubblica.IT ,2,2016))

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